Energie rinnovabili, l’Italia non tiene il passo sostenuto dell’Europa

Chiaroni: “Con questo ritmo, anche sfruttando al massimo i 5,9 miliardi di euro previsti dal PNRR non si raggiungeranno gli obiettivi posti dal PNIEC 2030, che richiederebbero una crescita del 175%. La transizione ecologica deve essere una scelta politica e portare con sé interventi normativi e regolativi, non solo incentivi e investimenti”

A livello globale il mercato delle rinnovabili è in grandissima espansione, con una crescita che non si è arrestata nemmeno con il Covid: l’Europa ha “festeggiato” nel 2020 lo sfondamento di quota 650 GW di potenza complessivamente installata, con il fotovoltaico e l’eolico che hanno superato la soglia rispettivamente dei 160 e 200 GW in poco più di un decennio. La marcia verso la completa decarbonizzazione, che l’Europa si è posta come obiettivo per il 2050, è dunque avviata e sta catalizzando l’interesse del mondo industriale e finanziario. Purtroppo, lo stesso non si può dire dell’Italia, che ha mostrato nel decennio una capacità di crescita decisamente inferiore a quanto fatto registrare dall’Europa, con uno stallo che è cominciato già nel 2018 e quindi ben prima della pandemia. Stando ai risultati del settimo Rapporto sulle energie rinnovabili in Italia redatto dall’Energy&Strategy Group della School of Management del Politecnico di Milano, e presentato oggi, la nuova potenza da rinnovabili installata nel nostro Paese nel 2020 è stata di 784 MW, il 35,4% in meno (427 MW) rispetto al 2019, a causa soprattutto del calo dei nuovi impianti eolici, precipitati del 79% dai 413 MW del 2019 agli appena 85 MW del 2020. Come sempre, lo scorso anno è stato il fotovoltaico a guidare la classifica delle installazioni con 625 MW, mentre l’idroelettrico si è fermato a 66 MW e le biomasse a 8 MW. 

I 5,9 miliardi che il Piano Nazionale di Ripartenza e Resilienza mette a disposizione del comparto delle rinnovabili, nell’orizzonte 2021-2026, potranno fare la differenza? “No – risponde deciso Davide Chiaroni, Vicedirettore dell’Energy&Strategy Group della School of Management del Politecnico di Milano – se non si parte dall’assunto che la transizione ecologica è frutto di una precisa scelta politica legata alla necessità non più derogabile di mitigare l’effetto dannoso sul clima delle emissioni di gas, e non si disegna un percorso politico di concreto sviluppo, sfruttando al massimo l’enorme potenziale impiantistico, industriale e commerciale che abbiamo costruito in oltre un decennio. È da un mix integrato e coerente di provvedimenti normativi, così come da un mix integrato e coerente (per taglia e fonte) di impianti da rinnovabili, nuovi e ammodernati, che dipende il futuro del comparto in Italia”.

“Certamente – continua Chiaroni – nello stallo delle rinnovabili un ruolo importante l’ha giocato il Covid19, con l’impossibilità per diversi mesi di procedere nelle attività sul campo e l’oggettivo clima di incertezza economica, ma non possiamo attribuire alla pandemia tutte le responsabilità: il calo del mercato nel nostro Paese è stato più forte che altrove, dimostrando le fragilità del sistema. Con il Renewable Energy Report 2021, che giunge in un momento di fermento positivo, abbiamo colto l’occasione di investigare le ragioni profonde della crisi e trarne ispirazione per la ripartenza, ad esempio ponendo l’accento sulla forte crescita, nonostante tutto, delle tecnologie associate alle rinnovabili, in particolare fotovoltaico ed eolico: la presenza di investimenti importanti e l’identificazione della traiettoria della decarbonizzazione ha permesso lo sviluppo di soluzioni più competitive sotto il profilo dei costi, in grado di abilitare mercati ‘solo’ di rinnovabili”.

Il costo dell’energia prodotta dagli impianti fotovoltaici, infatti, è principalmente condizionato da quello delle tecnologie abilitanti, in particolare dei moduli fotovoltaici e dei materiali che li compongono, ma la significativa evoluzione tecnologia sta permettendo di raggiungere livelli competitivi a quelli delle fonti fossili. Nel medio periodo si prevede di raggiungere un livello di costo dei moduli fotovoltaici inferiore a 20 cent/W, a fronte di un incremento nell’efficienza fino al 22,5%: e questo vale non solo per il nuovo installato, ma anche per gli impianti già esistenti, attraverso interventi di revamping e repowering permetterebbero di aumentare la produzione anche del 50-70%.

Al momento, però, continuiamo a registrare dati in controtendenza rispetto al resto d’Europa, ad esempio se si guarda all’andamento delle aste per i grandi impianti, in particolare eolici e fotovoltaici, dove si assiste a un calo “drammatico” nel coefficiente di saturazione del contingente messo a disposizione, dal 100% del primo bando (30 ottobre 2019) al 24% del quarto bando conclusosi da poco. Il risultato, poco lusinghiero, è di aver aumentato, anziché ridurli come previsto dal meccanismo competitivo, i prezzi medi di assegnazione, penalizzando le installazioni di grande taglia.

I “nodi” del contesto italiano: le sfide per la ripartenza

Come mai il mercato italiano sembra essere meno propenso a crescere e innovarsi? Le ragioni, come messo in evidenza dall’interazione con le aziende partner della ricerca, stanno in due “nodi” connessi al quadro normativo e regolatorio: le difficoltà di ottenimento del titolo autorizzativo, prerequisito necessario per l’accesso ad aste e registri e, in generale, per effettuare investimenti in nuovi impianti o in interventi di repowering; la necessità, soprattutto per gli impianti di maggiori dimensioni, di occupazione di suolo, al momento fortemente limitata in alcune Regioni da regolamenti che impediscono l’utilizzo dei terreni a uso agricolo, assolutamente necessari per centrare l’obiettivo della decarbonizzazione (volendo raggiungere il target PNIEC di +30,6 GW e ipotizzando di installare solo impianti di grande taglia a terra, sarebbero necessari circa 460 km2, cioè meno dello 0,5% delle aree agricole utilizzate o meno del 4% di quelle non utilizzate).

Quanto alle richieste di Autorizzazione Unica, stando ai dati elaborati da Elemens dal 2016 al 2020 sono cresciute notevolmente, passando da meno di 100 MW nel 2016 a circa 7,9 GW nel 2020 per l’eolico e 13 GW per il fotovoltaico. Tuttavia, le effettive installazioni sono state molte meno, perché il forte incremento delle domande non si è tradotto in un aumento del tasso di rilascio delle autorizzazioni, che lo scorso anno hanno superato a malapena i 500 MW. Oltre a rallentare lo sviluppo del mercato, questo andamento delle autorizzazioni ha un impatto di costo non trascurabile, perché le lungaggini autorizzative spingono ad avere meno impianti concorrenti nelle aste, e porta con sé difficoltà di pianificazione, valutazione e monitoraggio.

Nel corso dell’ultimo anno sono stati introdotti alcuni provvedimenti che hanno modificato il quadro normativo e regolatorio, dalla semplificazione dell’iter per l’ammodernamento di impianti esistenti alla possibilità di accesso ai meccanismi di incentivazione del Decreto FER 1 per gli impianti che non hanno accettato lo Spalma-incentivi volontario, dall’introduzione delle Energy Community nel quadro normativo nazionale all’istituzione del nuovo Ministero della Transizione ecologica. Tuttavia, stando alle opinioni degli operatori del settore, la strada intrapresa non è abbastanza coraggiosa, il rilancio del mercato delle rinnovabili richiederebbe interventi più mirati.

L’occasione del PNRR e la costruzione dello scenario “auspicabile” per le rinnovabili in Italia

Il Piano Nazionale di Ripartenza e Resilienza mette a disposizione del comparto delle rinnovabili, nel quinquennio 2021-2026, 5,9 miliardi di euro così suddivisi: 1,1 miliardi per lo sviluppo agro-voltaico, 2,2 per la promozione di rinnovabili per le Comunità energetiche e l’autoconsumo, 0,68 per la promozione di impianti innovativi e 1,92 per lo sviluppo del biometano. Sono sufficienti queste risorse? Se si dovesse procedere con l’attuale tasso di installazione, assolutamente no: prendendo come riferimento i nuovi impianti di fotovoltaico ed eolico dell’ultimo triennio si raggiungerebbe al 2030 un parco installato di circa 41,7 GW (27,5 GW di fotovoltaico e 14,2 GW di eolico), che salirebbero a 43,2 GW – appena il 61% dell’obiettivo PNIEC – con l’entrata in esercizio degli impianti che hanno partecipato con successo alle aste del Decreto FER-1. L’effetto di rallentamento della pandemia c’è stato ma è quantificabile in poco più di 1,5 GW di potenza installata al 2030, dunque non determinante.

Il quadro dunque non è molto confortante, soprattutto se si considera che per l’obiettivo di completa decarbonizzazione sarebbe necessario per l’Italia soddisfare un fabbisogno di 650 TWh con generazione rinnovabile al 95-100%, soprattutto fotovoltaico (circa 200 GW) ed eolico (circa 50 GW).

Per avvicinarsi agli obiettivi PNIEC, con una crescita complessiva delle installazioni del +175% rispetto a quelle previste nello scenario tendenziale al 2030, è necessario dunque mirare a uno “scenario auspicabile” che prevede innanzitutto lo sblocco del tema autorizzativo, accompagnato da misure di sostegno indispensabili come  il prolungamento di meccanismi di supporto in continuità con quelli previsti dal FER 1, l’introduzione di obiettivi suddivisi tra le Regioni, coerenti con gli obiettivi nazionali per garantire il giusto coordinamento e indirizzo di pianificazione, l’avanzamento delle sperimentazioni sull’apertura del Mercato dei servizi di dispacciamento. Il sistema elettrico risulterà decisamente diversoda quello attuale ma cambierà gradualmente in trent’anni, dando modo ai diversi attori coinvolti di adeguarvisi progressivamente.

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